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Interviste

Due chiacchiere con Marco Castello: nuova promessa nella scena indie italiana

All’indomani del suo primo concerto all’Idroscalo di Milano, ho avuto l’occasione di conoscere Marco Castello: abbiamo parlato del suo disco d’esordio con la 42 Records, ma anche di cartoni animati e della nostra amata Sicilia.

Cosa ti fa sentire indie?

In realtà non so se definirmi indie, ma siccome non riesco a infilarmi in nessuna categoria penso che “indie” sia quella che mi permetta di poter avere tutte le sfaccettature che mi piacciono in un’unica veste. Però anche qua, ci sono cose dell’indie che non mi piacciono e altre che hanno una loro bellezza.

Qualche esempio?

Quelli che non mi piacciono non lo dico, però per quelli che mi piacciono -non so se loro amano definirsi indie- Giorgio Poi per esempio, o comunque quelli che rappresentano il nuovo cantautorato, quella parte di musica italiana che mi piace. Penso a dove verrebbero catalogati adesso artisti del passato come Dalla, De Gregori, Battisti… Sicuramente non sarebbero né hip-hop, né in delle major, né in televisione.

Tu hai collaborato con Erlend Oye e con La Comitiva, parlaci di questa esperienza

Per tutta una serie di motivi, dato che lui da un po’ di anni si è trasferito ad Ortigia, siamo entrati in contatto. All’inizio quando lui si è pluggato con gli artisti di Siracusa io stavo a Milano, però poi frequentando i circoli in cui suonava inevitabilmente ci siamo conosciuti. Poi è partita l’esperienza con La Comitiva che è stata del tutto casuale, perché in realtà eravamo partiti in Sud America per fargli compagnia e poi siamo finiti a suonare insieme.

Rimaniamo in Sicilia. Quanto pensi abbia influenzato il tuo estro artistico? Penso a Battiato, ma anche Roy Paci.

Tanto. Anzi, ad un certo punto mi ha iniziato a dare fastidio sotto ogni aspetto della comunicazione, della moda, del cinema, della musica, questa ombra americana che incombe sempre che influenza tutto. E dato che inevitabilmente ormai è diventata nostra, cerco per quanto posso di infilarci un’influenza siciliana, delle mie radici, dei miei ricordi, delle cose che io ho paura che vadano perduti. A partire dalla lingua, dalle filastrocche che mio padre mi cantava da bambino, che mio nonno cantava a lui… tutta una serie di cose che si stanno perdendo e che non dovremmo perdere, cerco di mantenerle vive. Ho ricordi, filastrocche, immagini, qualsiasi cosa ecco.

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Battiato infatti è quello che è riuscito a coniugare il pop a tutta una serie di evocazioni che rimandano alla Sicilia, quindi lui è un faro. Mentre con Roy Paci è perché lo ascoltavo da piccolino, mi piaceva ascoltare ska, reggae, quel genere lì.

La sicilianità è una cosa centrale, senza trasformarla in stereotipo spero. Per quale motivo il napoletano può diventare pop e il siciliano no?

Tu sei un polistrumentista, nascono prima la musica o i testi?

Assolutamente prima la musica. Secondo me se si tratta di musica meravigliosa, la musica può giustificare un testo che non dice un cazzo. Altrimenti uno farebbe poesia, io non faccio lo scrittore, quindi la musica è quello su cui mi concentro maggiormente, che può nascere da accordi, melodie che mi ispirano, suoni strani, su quello costruisco il pezzo. I testi possono nascere banalmente da qualcosa che penso in quel momento o qualcosa che ho in testa da un po’, però sostanzialmente storie, mi viene da raccontare storie.

Com’è stato suonare all’Idroscalo al Miami Fest?

Ieri all’Idroscalo è stato il mio primo concerto in assoluto da solista, quindi per me è stato molto bello, ero molto felice, sia per com’era la situazione: il suono, le luci, il palco era bellissimo, sia perché sono stato apprezzato dal pubblico.

Adesso hai anche il programma l’uscita del disco?

Si il disco è pronto già da un po’ ma per vari motivi è stato posticipato, ovviamente la pandemia ha dato il colpo di grazia, perché doveva uscire a maggio ma dato che non si potevano fare live ci sembrava una stronzata. Abbiamo fatto uscire questi due pezzi (Porsi e Torpi), ora ne uscirà un terzo il 15 e così l’album uscirà in Autunno. Credo a novembre ma ancora non abbiamo una data certa.

“Porsi” e ci è sembrata un po’ nostalgica, evoca molto i tempi della scuola. Cosa dobbiamo aspettarci da Marco Castello in futuro?

In realtà non era nei miei intenti sembrare nostalgico o romantico, non mi ritengo una persona nostalgica, però evidentemente se tutti dicono che evoca quello scenario evidentemente è così. Più che l’intento nostalgico volevo far riflettere su quante cose che ci coinvolgono magari emotivamente da piccoli ci sembrano enormi, e poi da grandi invece si ripensa a certe cose e ci si ride su. Siccome io mi sento un po’ “bambino” questa cosa continua a farmi ridere anche adesso. Non volevo comunicare “oh che belli quei tempi, era tutto meraviglioso ora fa tutto schifo”, ma anche quella era semplicemente una storia che volevo raccontare.

Nell’album invece ci sono pezzi anche più ballabili diciamo, e pezzi da schitarrata, altri invece saranno un po’ più intimi. Quindi l’album è eterogeneo, ci sono varie sfaccettature.

Il nuovo singolo si intitola “Cicciona”. Come mai questo tiolo?

Sta creando scalpore questo titolo. In realtà io non ci avevo pensato, perché -non c’è neanche bisogno di dirlo- non è un’offesa a nessuno, anzi semmai una provocazione su un tema per attirare l’attenzione. In realtà il testo è un pretesto per ribadire di fottersene dei giudizi e godersi le situazioni dal punto di vista carnale, emotivo. E’ proprio un invito a godersela, e ad essere ingordi di piaceri. In questo momento storico in cui è più facile non dire le cose, preferisco dirle ma con un’argomentazione.

Un domani ti vedresti a Sanremo? Visto che molti giovani della scena indie ultimamente ci hanno partecipato

Non credo che Sanremo sia un palco che mi attiri. A me dà fastidio quando la musica diventa televisiva, penso siano cose che ormai non possano andare più bene insieme. Una volta negli anni settanta e ottanta in televisione c’era grande musica, adesso non è più così. Ormai la televisione è diventato un mezzo di comunicazione vecchio, quindi non so se riuscirei ad accollarmi quel sentimento di perbenismo che fa parte di Sanremo, e compiacere un pubblico di sessantenni che non capirebbero, e neanche mi piacerebbe dover sottostare a giochi di “scandalo forzato”. Mi è piaciuto quello che ha fatto Achille Lauro, ma non ho l’attitude dell’intrattenitore, o proprio di farmi inquadrare dalla telecamera. Quindi parteciperei a Sanremo solo se ci fosse un’edizione particolarmente valida, ma l’idea della musica in televisione non mi entusiasma. Soprattutto nel caso di Sanremo mi dà fastidio il concetto di competizione, perché è quello. Questo non dovrebbe esistere quando si parla di musica.

Abbiamo notato una tua passione per i cartoni animati. Da dove nasce? E Qual è il tuo cartone animato preferito?

Direi tutti quelli della mia generazione. Vivevo in un condominio e quindi la televisione era il massimo strumento di fruizione di qualsiasi cosa. In più da piccolo a parte i giochi e i libri, i cartoni mi affascinavano, sia per le storie che per le musiche. Sono convinto che parte della mia sensibilità musicale sia stato influenzato anche da quello.  Non saprei il mio cartone preferito, è un domandone, però mi ricordo che quando vidi per la prima volta Goku che si trasformava in super sayan rimasi affascinato, me lo ricordo ancora, oppure anche dalle musiche del Re Leone.

Quindi tutti i classici sia Disney che giapponesi, ma non sono uno troppo nerd. Se mi capita di riguardali semplicemente li riguardo con piacere.

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